Libera 2

Aversa Precenzano Salvatore Aversa e Lucia Precenzano erano marito e moglie. Aversa era sovrintendente della Polizia di Stato. Svolse numerose indagini sulle attività delle cosche della  ‘ndrangheta lametina. Venne ucciso il 4 gennaio 1992 insieme alla moglie, nella centralissima Via dei Campioni 1982 di Lamezia Terme, in un agguato eseguito dai tarantini Salvatore Chirico e Stefano Speciale, in seguito rei confessi.

Il territorio in cui Salvatore Aversa si trovava a svolgere le sue indagini era, ed è ancora, fortemente macchiato dalla presenza delle famiglie di ‘ndrangheta locali. Pochi mesi prima il comune era stato sciolto per infiltrazioni mafiose, anche grazie alle indagini di Aversa.

 «Non credo alle leggi eccezionali. Io credo alle cose che il capo dello Stato ha detto dentro la chiesa, cioè che se si aspetta che la mafia sia sconfitta da magistrati e forze dell’ordine , si sbaglia. Che ci vuole invece una presa di coscienza collettiva», queste le parole che il Procuratore della Repubblica di Lamezia, Giovanni Pileggi, pronunciò davanti ai giornalisti pochi giorni dopo la strage.

La risposta da parte dello Stato arriva, quando dopo appena un mese, una super testimone, Rosetta Cerminara, decide di raccontare ciò che ha visto. Ma dopo il rapido susseguirsi dei primi arresti e di elogi alla giovane donna lametina, da ogni parte del mondo, neppure nelle sue dichiarazioni vi sarà giustizia per il poliziotto Aversa e la moglie: la sua è una falsa testimonianza e i veri colpevoli, saranno incriminati solo nel 2004.

TramontePasquale Cristiano e Francesco Tramonte Furono assassinati in un agguato tipicamente mafioso il 24 maggio del 1991, mentre erano a bordo di un automezzo specializzato nella raccolta dei rifiuti urbani nell’ex comune di Sambiase ed esattamente nel quartiere Miraglia. A distanza di 27 anni non esiste una verità giudiziaria e storica di quel terribile omicidio, non c’è un colpevole, non c’è nemmeno un movente definitivamente accertato, anche se qualche pentito lo ha definito di matrice politica. A svelare quest’aspetto qualche tempo fa fu Massimo Di Stefano, uno dei primi pentiti di ‘ndrangheta lametina, che ad una giornalista raccontò la sua versione su alcuni fatti (ovviamente da dimostrare) assolutamente inediti e legati anche al modo politico-criminale. Tra questi episodi anche il duplice omicidio dei netturbini che è passato nel dimenticatoio, perché probabilmente coinvolgeva alcune fasce politiche.

Secondo il “pentito” non è stata fatta giustizia perché quel duplice omicidio sarebbe maturato per questioni connesse all’appalto della gestione.della.nettezza.urbana.
Il mandate di quel crimine, secondo Di Stefano, sarebbe stato un autorevole esponente di una cosca lametina che ai netturbini aveva suggerito di non fare il proprio lavoro, forse per suscitare malcontento sull’attuazione del servizio di raccolta dei rifiuti. Ma al rifiuto dei due operai la potente personalità del clan avrebbe deciso, per dimostrazione, di ucciderli. Di Stefano disse di aver descritto il quadro della vicenda agli inquirenti, fornendo indizi che avrebbero potuto portare all’identificazione dei killer e dei mandanti, ma lo scenario non fu approfondito.

Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte. Furono assassinati in un agguato tipicamente mafioso il 24 maggio del 1991, mentre erano a bordo di un automezzo specializzato nella raccolta dei rifiuti urbani nell’ex comune di Sambiase ed esattamente nel quartiere Miraglia. Questa mattina l’associazione Libera, in
memoria dei due netturbini si è ritrovata in località Miraglia, a Sambiase, ovvero nel luogo e nell’orario della loro uccisione. A distanza di 25 anni non esiste una verità giudiziaria e storica di quel terribile omicidio, non c’è un colpevole, non c’è nemmeno un movente definitivamente accertato, anche se qualche pentito lo ha definito di matrice politica. A svelare quest’aspetto qualche tempo fa fu Massimo Di Stefano, uno dei primi pentiti di ‘ndrangheta lametina, che ad una giornalista raccontò la sua versione su alcuni fatti (ovviamente da dimostrare) assolutamente inediti e legati anche al modo politico-criminale. Tra questi episodi anche il duplice omicidio dei netturbini che è passato nel dimenticatoio, perché probabilmente coinvolgeva alcune fasce politiche. Secondo il “pentito” non è stata fatta giustizia perché quel duplice omicidio sarebbe maturato per questioni connesse all’appalto della gestione della nettezza urbana.
Il mandate di quel crimine, secondo Di Stefano, sarebbe stato un autorevole esponente di una cosca lametina che ai netturbini aveva suggerito di non fare il proprio lavoro, forse per suscitare malcontento sull’attuazione del servizio di raccolta dei rifiuti. Ma al rifiuto dei due operai la potente personalità del clan avrebbe deciso, per dimostrazione, di ucciderli. Di Stefano disse di aver descritto il quadro della vicenda agli inquirenti, fornendo indizi che avrebbero potuto portare all’identificazione dei killer e dei mandanti, ma lo scenario non fu approfondito. Non si è andato a fondo, fu la sua tesi, perché «c’erano politici di mezzo». E rincarò: «Ogni volta che ho aperto bocca per parlare di connessioni tra cosche e politica mi hanno sempre messo a tacere. Io le mie verità le ho sempre raccontate, ma molte cose sono rimaste senza risposta». Di Stefano conosce bene gli ambienti che ha frequentato, e di alcuni fatti ha versioni (ovviamente da dimostrare) assolutamente inedite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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